sabato 12 febbraio 2022

660) 2002 - QUANDO LUTZ PFANNENSTIEL PARÒ TRE RIGORI ALLA MORTE - ''La vita avventurosa di un portiere giramondo, filosofo, antidivo e anticonformista...''



Il football nacque ''ufficialmente'' in Inghilterra nel dicembre del 1863, quando gli uomini illuminati che hanno da pochi mesi fondato la Football Association scrivono per la prima volta quelle che saranno le Laws of the Game, le regole del gioco. Nel giro di poche decine di anni il gioco diventa molto più che un semplice passatempo, coinvolge città, smuove le folle, attira denaro e soprattutto entra prepotentemente nella vita e nella cultura britannica come nessuno sport prima è stato capace di fare. Sul campo il gioco compie diverse evoluzioni, ma una tradizione rimane salda: il Boxing Day,

l’equivalente del nostro Santo Stefano, il giorno successivo a Natale, si gioca su tutti i campi, dai fangosi pantani delle divisioni inferiori alle modernissime pelouse della ricca Premier League. E se è vero che il gioco, ad alti livelli, si è evoluto – pur con notevole ritardo rispetto al resto d’Europa – nei gradini più bassi della piramide calcistica nazionale in giù vige ancora il buon vecchio kick and rush. Calcia e corri, dove più che il buon tocco di palla o la raffinata visione tattica contano corsa, fiato, coraggio, le qualità che richiede – e di cui si accontenta – chi per Santo Stefano si trova a guardare una partita di settima, ottava, nona divisione. Si gioca il 26 dicembre dal 1860, da quando cioè, ben prima che nascesse la Football Association, si disputò la prima partita ufficialmente registrata come tale, il derby tra Sheffield FC e Hallam, all’epoca le uniche due squadre esistenti al mondo, e si sa quanto gli inglesi siano legati alle tradizioni. Nel corso degli anni niente ha scalfito questa usanza, e numerosi sono stati gli episodi da ricordare, ma quello che riguardò il tedesco Lutz Pfannenstiel nel 2002 merita di essere raccontato. Dove ti piacerebbe giocare a calcio? I messicani, in Europa risponderebbero di getto, senza pensarci un secondo... Fare carriera in questo continente e trascendere, in poche parole, sognare cose interessanti. Se qualche grande in Europa ti offrisse un contratto, lo accetteresti? Molti, 


ovviamente, lo farebbero per proiezioni calcistiche, per prestigio personale e perché quei club sono i più visibili quando si tratta di cacciare talenti da selezionare a livello nazionale. Questo straordinario personaggio che andiamo a conoscere, nacque a Zwiesel, in Baviera, nel maggio del 1973, e fin da giovanissimo si mostra un portiere estremamente promettente. Ma quando il club locale dov’è cresciuto, entusiasta, gli comunica che a lui si è interessato nientemeno che il Bayern Monaco riceve una risposta che la dice lunga sulla singolarità del ragazzo di cui raccontiamo. Lutz Pfannenstiel, infatti, rifiuta il trasferimento alla squadra più importante della Germania: non vuole ammuffire in panchina o nella seconda squadra in attesa di un’occasione che potrebbe anche non capitare mai, ha ambizione, fame, voglia di conoscere i propri limiti personali e quelli del mondo che lo circonda. Così, ventenne, parte nel 1993 alla volta di Penang, Malesia, prima tappa di un viaggio che lo porterà a giocare per oltre 25 club sparsi per tutti e sei i continenti calcistici e che si concluderà soltanto nel 2011: un’avventura che gli vale il riconoscimento da parte del Guinness World Records e che lo ha portato in Malesia, Sud Africa, Finlandia, Singapore, Nuova Zelanda, Norvegia, Canada, Albania, Armenia, Brasile e Namibia. Insieme a tutte queste mete più o meno singolari, Pfannenstiel non può certo esimersi dal provare a giocare anche in Inghilterra, la patria del football: la prima volta che lo tocca con mano è nel 1994, poco dopo aver lasciato la Germania, ma dove lascerà per sempre il segno è a Bradford, nella locale squadra minore del Bradford Park Avenue. Ci è arrivato nel 2001, dopo un’esperienza a Singapore che da sogno si è trasformata in incubo: idolo dei tifosi, viene arrestato dalla polizia che lo accusa di corruzione, e pur senza alcuna prova lo lascia più di un mese in prigione in condizioni incredibili, a volte senza bere né mangiare e circondato da gente davvero poco raccomandabile. Per sua stessa ammissione, il tempo trascorso in carcere, l'ingiustizia della sua carcerazione, la brutalità denunciata, lo squallore in cui fu costretto a vivere e la compagnia con cui fu costretto a stare, lo avevano spinto 


perfino a “pensieri suicidi”. Tuttavia, insieme alla speranza di ricongiungersi con la sua famiglia, il suo desiderio di tornare a giocare a calcio contribuì a concentrarsi sul suo ritorno. Dopo aver sopportato quasi quattro mesi in condizioni insopportabili, fu necessario un periodo di riabilitazione. Desideroso di lasciarsi tutto alle spalle e di assaggiare nuovamente il calcio “vero”, Lutz accetta l’offerta del Bradford Park Avenue, impegnato all’epoca nella Northern Premier League, l’ottavo livello della piramide calcistica inglese. L’ex-portiere della Germania Under-17 vuole l’Inghilterra anche perché è qui che desidera nasca sua figlia, e la moglie ha partorito da poco quando accade l’evento per cui tutti si ricorderanno sempre di Pfannestiel come del “portiere che morì tre volte”. Nella patria del Football. Il 26 dicembre del 2002 Bradford Park Avenue e Harrogate Town si sfidano in un derby che scalda gli animi dei tifosi nonostante l’atmosfera festiva dell’occasione. L’Horsfall Stadium, l’impianto che ospita le gare casalinghe della squadra dove giocò anche un grande del calcio inglese quale Len Shackleton, “The Clown Prince of Football”, ribolle di entusiasmo per una partita che si gioca secondo il più puro e antico stile inglese. Lunghi calci al pallone, corse sfrenate, il centrocampo sistematicamente saltato e il pallone spesso conteso in aria, gli scontri all’ordine del giorno. Sono le partite che Pfannenstiel apprezza maggiormente, quelle su cui ha fantasticato da bambino, e nonostante nel primo quarto d’ora riceva ben due gomitate in seguito a mischie aeree sotto porta, si diverte moltissimo mentre intorno ai giocatori si crea un’atmosfera magica che, nelle serie minori, può capitare soltanto in Inghilterra. Il Bradford Park Avenue è largamente favorito, e dopo essere passato in vantaggio nel primo minuto di gioco raddoppia poco dopo: potrebbe sembrare una gara già conclusa, ma ai ritmi frenetici del calcio inglese mai dire mai. Alla mezz’ora l’Harrogate Town riesce finalmente a sorprendere la difesa di casa con un lungo lancio in direzione del suo centravanti, Clayton Donaldson. Giovane rampante arrivato in prestito dall’Hull City, un talento e una fisicità che lo porteranno a sfiorare le vette del grande calcio (attualmente è in forza allo Sheffield United, in Championship, e nel giro della Nazionale giamaicana) l’aitante centravanti di colore si fionda su un pallone che capita proprio a metà tra lui e Pfannenstiel, il quale deciso a non concedere il gol si getta sulla sfera nel tentativo di anticipare il tiro dell’avversario. Uno scontro terribile. Lo scontro è inevitabile, e il ginocchio di Donaldson colpisce il portiere-giramondo nello stomaco con una violenza inaudita: un attimo, il tempo di accennare un’istintiva protesta, e per Lutz Pfannenstiel diventa tutto nero. Il pallone intanto è carambolato al fianco dei due protagonisti dello scontro, viene sospinto in rete e vale il punto dell’1:2 per gli ospiti dell’Harrogate. I tifosi di casa imprecano, gli altri ovviamente esultano, ma ben presto tutti ammutoliscono quando si 


rendono conto che Pfannenstiel non si rialza. È svenuto, incosciente, tra la vita e la morte: anzi, è morto, o almeno questo è il primo pensiero di Ray Killick, calvo sessantenne che da oltre venti è il medico dell’Avenue e che mai però si è ritrovato davanti a una situazione del genere. In campo c’è chi è preoccupato, chi addirittura sotto shock non riesce neanche a guardare. La mente di chi mastica storia del football corre indietro fino all’incidente mortale, identico per modalità, che mise fine alla vita del portiere del Celtic Glasgow John Thomson. Tra la vita e la morte “È morto”, pensa il povero Killick. Non respira, il cuore non batte, ma un tentativo va fatto. Non fosse che per la moglie di Lutz, che terrorizzata ha assistito dalla tribuna allo scontro e sta seguendo la scena senza capire, o forse non volendo farlo. Possiamo solo immaginare il sospiro di sollievo quando, dopo alcuni secondi che sembrano durare un’eternità, il portiere è come se tornasse alla vita, respira, apre gli occhi. E ancora il terrore quando, un’istante dopo, gli occhi si ribaltano e torna in catalessi, il cuore ancora una volta fermo. La scena si ripete ancora una volta, per ben tre volte infatti il cuore di Pfannenstiel smette di battere e per tre volte ricomincia a farlo, lo stadio ammutolito, la gara sospesa e che non riprenderà, con i tifosi delle due squadre che adesso fanno il tifo per questo pittoresco portiere che sta affrontando la sfida più importante. “Se qualcuno mi avesse detto quando avevo vent’anni che la mia vita sarebbe finita su un campo di calcio lo avrei accettato. Per quanto possa suonare melodrammatico, vivo per il calcio, e morirei per esso. È un’idea che preferisco a quella di esalare il mio ultimo respiro in qualche ospedale, vecchio e pieno di dolori”. Già, perché il portiere morto tre volte per tre volte resuscita, e quando infine riprende conoscenza è in un ospedale, circondato dai medici e da chi gli vuole bene. Non si è fatto niente di grave, non si è rotto niente, dovrà solo riposare qualche giorno. Assoluto riposo, si raccomandano i medici, ma Pfannenstiel è uno che ha sempre fatto di testa sua, come quando giovanissimo rifiutò il Bayern Monaco per inseguire la gloria nel campionato malesiano. La notte stessa si fa dimettere, pochi giorni dopo è al campo di allenamento, qualche settimana ed è nuovamente in campo, accolto da una folla entusiasta che lo saluta come un eroe quando lo speaker ne annuncia il nome, precedendolo con una frase che ancora oggi riecheggia ogni volta che Lutz, che nel frattempo ha concluso il suo personale giro del mondo per diventare ambientalista, telecronista e osservatore per 


l’Hoffenheim, torna a visitare lo stadio dove il giorno dopo Natale del 2002 tornò dalla morte per ben tre volte. Segno che qualcuno, lassù, aveva deciso che la storia doveva andare avanti.  “Diamo oggi il benvenuto a un uomo che ha dato la vita tre volte per il Bradford Park Avenue!”. Tra il 2003 e il 2008 Lutz tornò in Nuova Zelanda con l'Otago United, quindi andò in Norvegia con Bærum, in Canada con i Calgary Mustangs e al Vancouver Whitecaps, in Albania (Vllaznia Shkodër), in Armenia (Bentonit Ijevan) e in Brasile (Clube Atlético Hermann Aichinger). Arrivato in Sud America, aveva già battuto il record di giocare in cinque continenti e in sei confederazioni. “Non fu mai il mio scopo iniziale, ma quando ho ricevuto l'offerta dal Brasile ero consapevole che avrei potuto finire per giocare in tutti i continenti. In Canada ho guadagnato di più e la mia famiglia era felice lì, ma alla fine la sfida di realizzare qualcosa di unico fu e diventò sempre più forte”, disse in un'intervista. La verità è che questo record non è stato intenzionale, ma fortuito a causa di circostanze non sempre così piacevoli. Ammise nel 2014 alla BBC. A fine carriera, il portiere tedesco aggiunse altre tre squadre, il Flekkerøy Idrettslag e il Manglerud Star, in Norvegia, e i Ramblers della Namibia. Nel 2010 decise di ritirarsi con oltre 400 partite, 25 club e 13 nazioni sul curriculum. E sì, gli rimase quel desiderio incompiuto, però, di giocare 


in Spagna con il Rayo Vallecano o in Iran, o con il Millwall. Appese i guanti al chiodo, ma il suo spirito di viaggiare per il mondo non si esaurì per così poco. Diventò allenatore dei portieri per la nazionale namibiana, assistente tecnico per Cuba, commentatore per la televisione tedesca durante il Mondiale in Sud Africa nel 2010 e per la BBC in Brasile nel 2014. Oggi è diventato direttore delle Relazioni Internazionali e dello scouting al TSG Hoffenheim. Gira ancora il mondo e fa comparsate televisive con altri celebri ex del mondo del calcio. Al momento del ritiro, fu chiaro che il suo obiettivo fu che il calcio potesse essere utilizzato come tramite di cambiamenti positivi e consapevolezze per un futuro migliore e quindi ha fondato Global United Football, un'organizzazione che cerca di rendere visibili i problemi associati al cambiamento climatico. Per questa iniziativa hanno già “firmato” 400 giocatori, tra cui Ronaldinho, Zinedine Zidane, Henrik Larsson, George Weah, Pavel Nedved, Edgar Davids, Lothar Matthäus e Cafú. Lutz è sempre stato guidato dal “è bello essere ricchi, ma è meglio essere ricchi di salute e di esperienze”, questa è stata la sua carriera attiva ed è così che conduce la sua vita fuori dal campo. Molte volte una decisione che apparentemente sta generando incertezza, in realtà ci insegna più di quanto pensiamo. Dopotutto, rifiutare quel contratto al Bayern è stata in realtà un'ottima base per la sua carriera. Attraverso i suoi meravigliosi viaggi, le sue avventure, spesso grottesche, bislacche e spassose, (Si dice che in Nuova Zelanda, mezzo nudo, abbia dato la caccia ai ladri che avevano rubato una delle sue preziose maglie, che un giorno avesse rubato un pinguino da uno zoo locale con l'intenzione di tenerlo nella sua vasca da bagno, o che si svegliò un mattino dopo una folle nottata, sotto un ponte in Romania indossando un costume da Gorilla.) la carriera di Pfannenstiel gli ha dato una storia di vita in grado di rivaleggiare 


anche con quella di Forrest Gump. La sua disponibilità ad abbracciare qualsiasi situazione. Il calcio ha quasi avuto la meglio su Pfannenstiel in alcune occasioni; lo imprigionò e gli tolse la vita per pochi minuti. Ma, per fortuna, il calcio è stata anche la salvezza che lo ha tenuto in vita nei suoi momenti più bui ed è stata la ragione della sua storia spettacolare e bizzarra.

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