martedì 15 febbraio 2022

663) 1990 - QUANDO GUIDO BUCHWALD DIVENNE ''DIEGO'' - ''Il Mondiale in Italia, Beckenbauer e il Meisterschale con lo Stoccarda.''

Quando agli allenatori viene chiesto quale giocatore vorrebbero non dover mai rinunciare in una squadra di successo, di solito si bloccano. È una legge non scritta. Dopotutto, hanno sempre in mente lo spirito di squadra e le gelosie dettate da preferenze e favoritismi non sono mai state favorevoli alla sua realizzazione. Il Comissario Tecnico della DFB della spedizione a Italia 90, Franz Beckenbauer fece un'eccezione a questa regola nell'ora del suo più grande trionfo, che coincise anche con l'ora del passaggio del testimone. Due giorni dopo il trionfo ai Mondiali di Roma, nel 1990, apparve su Kicker

un'intervista al Kaiser, in cui gli veniva chiesto del giocatore che ritenesse più indispensabile per la eccezionale vittoria. La sua risposta fu sorprendente, perché in realtà tutti pensavano parlasse di Matthäus, o Brehme, o Völler, o Klinsmann: marcatori, registi, risolutori di partite. Il plauso dell'Imperatore, invece, andò al giocatore meno osannato forse: "Nella mia classifica personale, Guido Buchwald è il primo. L'unico che non avrei voluto potesse mancare. Ha giocato in tutte le partite con una costanza incredibile, ben al di sopra della media. Guido è stato il nostro miglior giocatore in questo Mondiale". Dev'essere stato un plauso corroborante per il simpatico svevo, che nacque e trascorse solo i primi sei mesi della sua vita a Berlino. Una soddisfazione tardiva per lui e una sorta di riconciliazione, con l'uomo che lo escluse all'ultimo momento, prima del Mondiale del 1986 in Messico. In questo modo il Kaiser evitò possibili alti e bassi, nella carriera del 76 volte nazionale. Beckenbauer fu il secondo di tre allenatori nazionali che Buchwald ebbe, perché giocò per la Nationalmannschaft, dal 1984 al 1994, in tempi turbolenti, a volte molto turbolenti, nel calcio tedesco. Già nella sua prima stagione in Bundesliga, Guido fu promosso a giocatore della nazionale. Jupp Derwall lo portò agli Europei del 1984 in Francia perché l'alto tuttofare difensivo aveva avuto un alto rendimento ed un ruolo significativo nel campionato tedesco del VfB Stuttgart. Nessuno lo aveva creduto che sarebbe stato in grado di farlo. Già, anche il passaggio dai rivali locali del Kickers al VfB, sembrava gli sarebbe potuto essere fatale, dal momento che il ''top-player'' di livello mondiale Karlheinz Förster, il suo modello, giocava proprio nella sua posizione. Ma l'allenatore del VfB, Helmut Benthaus trovò un altro posto per il biondo, riccio, giovanotto con le gambe lunghe - a centrocampo - e lì disputò tutte le 34 partite di 


campionato. È così che è arrivato fino alla rappresentativa della DFB, per la quale aveva giocato fino ad allora solo una partita internazionale nel 1979 con la Under 21. Quando gli diedero la divisa per l'esordio contro l'Italia nel marzo 1984, le maniche della maglia fu subito evidente che fossero troppo corte. Gli scettici ci scherzarono subito su, ironozzando che la Nazionale non fosse per la sua taglia. Errore! Prese subito le redini della situazione e spiccò il volo sin dall'inizio All' EURO era nell'undici titolare, con l'esperienza di una partita internazionale contro il Portogallo. Sensazionale! Per il Kicker fu il giocatore che in un solo anno aveva bruciato le tappe. Guido aveva già giocato fino al trasferimento al VfB, solo in seconda divisione per quattro anni, alcuni dissero sprecati, col senno del poi.... Bene, a 23 anni, finalmente cominciò un nuovo corso. Il fatto che l'Europeo si sia rivelato un fiasco e che Jupp Derwall abbia dato le dimissioni dalla squadra tedesca, dopo il primo turno preliminare non fu in definitiva, colpa di Buchwald. Tuttavia, ci sono voluti più di due anni prima che si affermasse come giocatore in Nazionale. A luglio gli fu permesso di volare a Los Angeles con la selezione olimpica e di acquisire più esperienza internazionale, anche se ci fu una fine anticipata ai quarti di finale. Sembrava che l'anno 1984 fosse l'inizio di un sogno senza fine. Si è concluse invece bruscamente quando iniziò la nuova stagione. Buchwald, si infortunò gravemente nel primissimo minuto al Betzenberg di Kaiserslautern: caviglia rotta, dieci settimane di assenza, prima battuta d'arresto in carriera solo a 23 anni. Fu assente dalle partite internazionali per quasi due anni e il suo ritorno nella primavera del 1986 era troppo tardi per essere considerato per il Mondiale in Messico, perché nel frattempo altri si erano resi indispensabili nella sua posizione. Uno era Lothar Matthäus, che nel 1984 si era lamentato apertamente del fatto che Derwall preferisse Buchwald a lui. Beckenbauer fece una scelta diversa e escluse Buchwald come uno dei quattro giocatori in sovrappiù della squadra provvisoria. Il Kaiser ammise nel 1990 che questa defezione lo aveva "messo in uno stato d'animo dubbioso e depressivo". Anche Buchwald ne fu sconvolto: "Dissi chiaramente a Beckenbauer la mia opinione. Mister: accetto la sua decisione, anche se non riesco a capirla". La decisione del Kaiser creò una certa incomprensione tra i due, ma non divenne mai un ostacolo insormontabile. Beckenbauer era abbastanza maturo per ammettere e correggere un errore, Buchwald era troppo giovane per arrendersi e rinunciare. Da quel momento in poi non mancò a nessuno dei successivi quattro tornei. Nel 1988 era in squadra agli Europei nel suo paese, ma dopo due partite perse il posto di titolare a fasvore di Uli Borowka, motivo per cui l'umiliazione in semifinale ad Amburgo- l'1:2 contro l'Olanda - gli fu risparmiata. Dopo il 


Campionato Europeo, iniziò il suo miglior periodo in maglia DFB. Nel 1989 giocò tutte le partite internazionali, nel 1990 saltò solo una gara prima del Mondiale e durante il torneo restò in campo per undici ore in Italia, ma quello che successe lì, è da tempo diventato leggendario. Negli ottavi di finale contro gli olandesi, preparò il terreno per entrambe le reti, la prima per il suo migliore amico nella squadra di Coppa del Mondo, Jürgen Klinsmann, con un tocco vellutato. Tali sottigliezze tecniche non erano note prime al Buchwald, imprigionato da sempre nel suo massiccio aspetto legnoso, ma aveva già stupito i suoi colleghi in allenamento prima della Coppa del Mondo e così Klaus Augenthaler lo  ribattezzò "Diego" - in onore al calciatore più tecnico del calcio mondiale, Diego Maradona. E incontrò l'argentino proprio nella finale di Roma e secondo le disposizioni di Beckenbauer dovette sacrificarsi a seguirlo per tutta la gara e ovunque. E con la sua tenacia lo portò alla disperazione. Lo aveva gia' incontrato nel maggio del 1989 in occasione della prima finale di coppa Uefa tra Stoccarda e Napoli. Ma in finale di Coppa del Mondo ebbe tutto un altro sapore. Ad un certo punto della gara: “Di nuovo tu!” gli sibilò Maradona in inglese. "Fu la partita più importante della mia vita", disse in seguito. Quando ti puo' ricapitare di mettere le mani sulla Coppa del Mondo?'' Il fatto che il panchinaro Frank Mill, sia stato più veloce di Lui a scambiare le maglie e ad afferrare la maglia di Maradona e' ancora un rammarico...Si, fu "quando dovetti andare al test antidoping". L'episodio fu dimenticato e perdonato. Fece pace definitivamente con il Kaiser nella scintillante ''notte magica'' della vittoria di Roma. Quando si imbatte in Beckenbauer, ancora oggi Buchwald, gli dice compiaciuto: ''Vedi? Avresti potuto essere stato Campione del Mondo con me anche in Messico!" La ferita ormai non faceva più male perché sopra ora c'era un grosso cerotto. Come quasi tutti i Campioni del Mondo, anche Buchwald attirò l'attenzione dei grandi club d'oltralpe nel 1990. Mentre metà della nazionale si trasferì in Italia e alcuni erano già lì comunque da prima - il VfB Stuttgart gli rifiutò la liberazione. Avrebbe voluto andare al Parma, ma ci fu una cosa positiva nella mancanza di trasferimento: "Allora non sarei stato campione di Germania con il VfB nel 1992". Fu già per la seconda volta - e questo titolo, che ha anche messo al di sopra del trionfo della Coppa del Mondo come momento emozionante, fu soprattutto grazie al suo lavoro e alla sua continuità di rendimento. Buchwald era il capitano di quella squadra, sotto la guida dell'allenatore Christoph Daum e con un gol la portò in vantaggio quando fu più necessario: nell'ultima giornata Guido Buchwald segnò di testa il gol decisivo che valse il 


campionato, per la sua squadra in inferiorità numerica a Leverkusen. Dal 16 maggio del 1992, diventò una leggenda del VfB e oggi è ancora capitano ad honorem del club. Un mese dopo partecipò al suo terzo Campionato Europeo, in Svezia, ora sotto la guida del nuovo allenatore della nazionale Berti Vogts. In finale, finì con una delusione (0:2 contro la Danimarca) e a 31 anni sapeva che probabilmente non sarebbe più diventato in futuro, campione d'Europa. Vogts, però, gli diede la possibilità di difendere il titolo mondiale negli USA all'età di 33 anni. Tuttavia, la squadra era anziana e venne estromessa nei quarti di finale, l'1:2 contro i Bulgari fu la sua ultima partita Internazionale. Capolinea New York, quindi. Come Andy Brehme o Rudi Völler, avrebbe meritato un'uscita di scena migliore. Non si è dimise dalla Nazionale e nel 1995 offrì i suoi servizi aVogts in caso di necessità. Non successe mai e si sono lasciarono in buoni rapporti, cosa che non tutti furono in grado di fare dopo la delusione americana. "Avrei dovuto andare all'estero prima" Il 1994 fu un anno di svolta sotto due aspetti per Buchwald, che dopo undici anni e 325 partite di Bundesliga lascò il suo VfB e il suo paese per cercare - e trovare - fortuna in Giappone. "Si, sarei dovuto andare all'estero prima", dice ora in retrospettiva, ma senza nostalgia. Non ha vinto nessun titolo con gli Urawa Red Diamonds, ma in tre anni e mezzo si è fatto molti amici e gli è piaciuto il paese del Sol Levante, che lo accolse così bene. Nel 2001 si improvvisa prima consulente sportivo e poi dal 2004 allenatore della squadra e porta i Diamonds al successo in campionato e quindi alle due vittorie di coppa Nazionale. Questa rappresentò un'ampia consolazione per la sfortunata fine della sua carriera da giocatore, che concluse in patria al Karlsruher SC nel 1998 quando iniziò la sua prima discesa. Dopo la sua carriera da giocatore, Guido Buchwald provò quasi tutto ciò che si può fare nel mondo del calcio. Come accennato, fu allenatore (tra cui anche Alemannia Aachen, Stuttgarter Kickers, oltre che Urawa Red Diamonds), direttore sportivo (KSC e Stuttgarter Kickers), membro del consiglio (Stuttgarter Kickers), scout (VfB) e supervisory board 


(VfB), ma sicuramente il suo meglio e i maggiori successi li ebbe come giocatore. "Purtroppo, sono una persona che deve sentire l'odore del prato ogni giorno", disse una volta. Per questo motivo ha anche rifiutato la carica di direttore sportivo della DFB nel 2007. "Sono sempre stato dal lato della vita dove batte il sole" ''I ruoli in ombra non fanno per me.'' Oggi non ha più bisogno di annusare il prato. Il suo cuore è ancora attaccato al calcio e soprattutto al VfB, nonostante le dissonanze che hanno portato alla sua partenza dal consiglio di amministrazione nel 2019. Ma il calcio tutto sommato, non è tutto per l'uomo che fu chiamato "Diego". Gli orizzonti, di questo padre di famiglia ed elettricista formato, che da adolescente si alzava ogni giorno alle 5.45 per far coesistere il suo apprendistato a Esslingen e il calcio a Stoccarda, sono sempre stati un po' più ampi. Quano fu professionista in Bundesliga, aveva la reputazione di "voler costruire un impero aziendale", come scherzò il portiere del VfB, Eike Immel nel 1992. A quel tempo, Buchwald era proprietario o partner di varie aziende: che si trattasse di comunicazione, arredamento d'ufficio, negozi di articoli sportivi, ricevitorie della lotteria o gestione di campi da tennis, lo svevo metteva i suoi soldi in tutto. Perché sapeva: "Come calciatore professionista, puoi giocare per un massimo di 15 anni. In quel periodo devi preparare il tuo percorso successivo". Ci è riuscito. Oggi è un uomo indipendente, siede nel consiglio di amministrazione di una società che offre sistemi di gestione documentale e - come fa da tempo - si occupa di progetti sociali. Ad esempio, sostiene una clinica oncologica per bambini a Tubinga. E due o tre volte l'anno vola in Giappone, purché il Coronavirus lo consenta, per coltivare vecchie amicizie. "Finora ho vissuto il lato positivo della vita. Sono in buona salute, mi sento bene e ho tutto ciò che potrei desiderare".... e ho avuto anche il riconoscimento del Kaiser. Dice sorridendo.


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