lunedì 8 novembre 2021

539) I PERSONAGGI - JEAN MARIE PFAFF - ''Un clown tra i pali.''

Il suo nome suona come un'onomatopea trovata nei fumetti. Sebbene sia Belga, questo nome non è né Fiammingo né Vallone. Viene dalla Germania. Infatti, tra i campioni del mondo del 1954 c'è un giocatore di nome Alfred Pfaff. Questo nome è anche un famoso marchio di macchine da cucire, la cui azienda è stata fondata a Kaiserslautern, dal tedesco Georg Michael Pfaff. Quindi e' perfettamente sensato che Jean-Marie Pfaff sia stato chiamato a proteggere i pali del Bayern Monaco, cosa che effettivamente ha fatto per sei anni.
Disse di se: Sono un burattino vivente. Una marionetta dal cuore pulsante. Un giocattolo animato. Dolce e sensibile. Un pazzo artificiale. Sono una combinazione di innocenza e saggezza nella cui

mimica è racchiusa la grande passione per lo show. Una vita da clown. Una vita da spirito sognante che aspira alla corona da Re. Da funambolo dell’anima. Da saltimbanco sempre in equilibrio coi tempi. Con le emozioni e il sorriso. Sono un Clown prestato al calcio. Oppure no. Un calciatore che ha scambiato l’area di rigore per la pista di un tendone da circo. Sono Jean Marie Pfaff...come il suono di un tuffo, di un salto nell’acqua.... Il suono di una sorpresa, di un batticuore, di un palpito. Come una leggerezza, come l’allegria, come il sorriso....come una risata. Mio padre vendeva le sue stoffe e i suoi tappeti in giro per le strade del Belgio. Una vita da ambulante e un ambulante non abbassa mai lo sguardo. Mangiava ogni giorno nella stessa osteria, entrava e chiedeva Il Solito, la signora Marie Veireman aveva imparato cosa preparargli, suo marito Jean De Lathouwer gli riservava un tavolo sempre alla stessa ora. Così, quando sono nato io, a mio padre venne facile unire i nomi delle due gentilissime persone che gli apparecchiavano il pranzo quotidiano, marito e moglie, Jean e Marie. Per questo mi chiamo così. Lui, mio padre, Honoré se ne andò che avevo 12 anni, sono cresciuto con i miei cinque fratelli e le mie sei sorelle. Mangia, Jean-Marie, mangia: era la loro grande preoccupazione, che stessi bene, che non mi mancasse nulla. Mangiavo e ingrassavo. 

 Da Pfaff, per gli amici ero diventato Patapouf, il grassoccio. Perciò mi mettevano in porta quando si giocava a pallone nelle vie di Lebbeke, la città dove sono nato, Fiandre orientali, terra di vento e di ciclismo. Palloni su palloni, parate su parate, sono arrivato al Beveren. L’avevo promesso a lui, a mio padre, vedrai...vedrai che diventerò un bravo portiere. Ma il calcio era all’epoca soltanto una passione, i miei soldi li guadagnavo fuori dal campo: prima in un ufficio postale, poi in un’azienda tessile, 14 franchi l’ora, c’era la famiglia da aiutare. Ogni giorno facevo 25 chilometri in bici, con il sole o con la pioggia, qualunque fosse il tempo. Vivevo in una roulotte nella piazza al centro di Anversa. Io, i miei fratelli e le mie sorelle. Quelli che campano così, sono persone fantastiche. Eravamo felici, perché la gente intorno a noi era socievole. C’erano calore e amicizia, a me non viene in mente nulla che si potesse desiderare di più. Solo quando sposai Carmen, prendemmo una casa. E aprimmo un negozio di articoli sportivi. Nel frattempo il Beveren mi aveva dato la maglia numero Uno e un po’ di gloria.  Campionati, coppe, l’esordio in nazionale e la finale agli Europei in Italia. Il vero salto fu la Germania, perché nel 1982 arrivò la chiamata del Bayern. L’esordio fu un disastro, perdemmo 1-0 con il Werder Brema: autogol mio. Su una rimessa laterale, esco con la mano alta, la tocco appena con le dita. Palla in porta.

Bene, mi dissi. Meglio sorridere. La prossima volta andrà meglio. Uli Hoeness venne a riferirmi che qualcuno però gli aveva dato un colpo di telefono, avvertendolo di stare attento a me, ero cresciuto in strada, ero un ambulante, un nomade, un brutto carattere, non stavo zitto mai. Mi riferì che a lui tutto questo non interessava, il Bayern mi aveva chiamato perché pensava ch’io fossi un bravo portiere, e che lo pensava anche dopo quell’autogol. Gli risposi che per me tutto sommato era un episodio positivo, molto positivo, si trattava di un’azione così cretina da rendermi famoso in tutto il mondo. Ecco, io l’avevo presa così. Allora Uli mi fissò, chissà che cosa gli passò in quell’istante per la testa, un attimo ancora e poi mi disse: “Ti spiace se per un po’ non rilasci più interviste?” Mi tennero muto, per tutelarmi, il silenzio durò nove settimane. Il giorno in cui parai un rigore a Kaltz, la Germania scoprì la mia inverosimile lingua, un impasto di tedesco, olandese e fiammingo. Per tanti ero il migliore del mondo, ma si faceva fatica a dirlo. Tutti guardavano la maschera che mettevo per nascondermi, la maglia rossa che portavo in omaggio a Kelly Le Brock, la signora in rosso del famoso film.. sono certo che la conoscete; oppure ricordavano la mia fuga dal ritiro della Nazionale Belga vestito da infermiere o la mela che mi tirarono alcuni tifosi avversari e che mangiai appoggiato a un palo. Con tutta la buccia. Ma al parere degli altri quasi mai ho fatto caso. D’altra parte se avessi ascoltato i medici, dico i medici per fare un esempio, oggi non avrei le braccia. Una sbarra di acciaio me le aveva spezzate da bambino, i dottori volevano amputarmele. Meno male che i miei fratelli diedero retta a me. Ai Mondiali del Messico ci fermò solo Maradona, in semifinale, dopo due indimenticabili partite contro l’Urss negli ottavi di finale e contro la Spagna ai quarti, battuta ai calci di rigore. Vennero 10mila persone ad accoglierci a Bruxelles. Allora sì, solo allora si arresero tutti. Ero diventato El Simpático, perché sorridevo sempre. Mi avevano anche eletto miglior portiere del torneo. Ho smesso a 36 anni. Ho fatto l’attore, ho prodotto vini e champagne, la vita della mia famiglia (tre figlie, mariti, sei nipoti) è finita al centro di un reality, ci hanno ripreso per 24 ore su 24. Mi chiesero se avevo qualcosa in contrario e non l’avevo. Perché il calcio a un certo punto finisce, ma la vita, Signori, la vita continua. E se alla vita non sorridi, da queste parti che cosa ci rimani a fare. Sono Jean Marie Pfaff....e questa e' la mia storia.. 

Negli Anni Ottanta è stato il miglior portiere al mondo. Ma non si è mai preso sul serio. Sdrammatizzando un calcio sempre più straziato dagli interessi economici e ossessionato dagli equilibri politici. Forse perché lui, essendo nato per davvero in una famiglia semplice, concepiva la vita come un grande e colorato spettacolo. Il calcio come un carrozzone itinerante. Dove chi paga il biglietto ha il sacrosanto diritto di divertirsi. Di sorridere. Di spellarsi le mani dagli applausi. Un istrione che si riparava sotto l’ombrello dei fotografi durante le partite di campionato. Abbandonando la rete agli umori capricciosi della fortuna e del destino. Che sistemava l’inseparabile orsetto di peluche nella sua porta. Ispirando Rowan Atkinson, il papa di Mister Bean. Che giocava con un cappellino con le mani e un gancetto per azionarle e farle applaudire dopo una parata prodigiosa. Che indossava un paio di guanti enormi per regalare un sorriso ai tifosi più giovani. Che parava rigori decisivi e andava a realizzare quelli della vittoria. Che abbandonava il ritiro della Nazionale a bordo di un’ambulanza camuffato da infermiere. E che per quella bravata fu cacciato dal ct Guy Thys dai Mondiali iberici. O che approfittava della pausa invernale del campionato di calcio per iscriversi alla Parigi-Dakar. Disegnando traiettorie sulla sabbia del Sahara a bordo di un camion. Quando smanacciò una conclusione innocua in maniera talmente maldestra che la palla finì in rete. Autogol e sconfitta contro il Werder Brema. «Fu uno degli episodi più positivi della mia carriera. Quell’azione, così buffa, venne trasmessa centinaia di volte dalle televisioni di tutto il mondo. Il mio nome in poche ore fece il giro del pianeta. Nella vita si può diventare celebri anche così». Una risposta che sorprende. E non poco. In stile Pfaff, comunque. Attento tanto alla forma quanto alla sostanza. Che si presentò al Bayern nel peggiore dei modi, poi vinse tre scudetti e sfioro' una Coppa dei Campioni. Protagonista in Bundesliga e alfiere della Nazionale Belga, con la quale giocò in 64 occasioni. Straordinarie furono le sue prestazioni con i «Diavoli Rossi» al Mondiale messicano del 1986. 

 

Un numero uno, in tutti i sensi, diverso dai calciATTORI moderni costruiti ad arte e pompati da televisioni e sponsor invadenti e senza anima. Un personaggio uscito dalla penna di Rabelais, un clown al servizio non del Re, ma dei sudditi – gli spettatori – ai quali regalava interventi prodigiosi tra i pali e scenette grottesche. Interventi prodigiosi che trascinarono il Belgio fino al terzo posto. E anche durante quella kermesse iridata ebbe modo di mostrare al mondo la sua indole burlesca. Guadagnandosi il soprannome di «El Simpatico». Avvenne quando scese in campo con una divisa rosso fuoco. In omaggio alla sua attrice preferita, l’americana Kelly Le Brock. La conturbante «Signora in Rosso» che evidentemente non fece perdere la testa solo a Gene Wilder. Oppure quando disse, prima della semifinale con l’Argentina, che Maradona non era nulla di eccezionale. Commettendo lo stesso errore di Hugo Gatti. E ricevendo dal «Pibe de Oro» il medesimo trattamento. Due gol da cineteca su cui Pfaff non abbozzò neppure l’intervento. A fine gara però chiese la maglia del fuoriclasse argentino e in cambio gli regalò un paio dei suoi leggendari guantoni extralarge. L’anno successivo vinse l’Oscar del calcio come miglior portiere al mondo. Nei giorni in cui gli venne conferito il premio trovò uno stratagemma per affacciarsi ancora una volta sulle prime pagine di tutti i giornali. Con il solito piglio stravagante. Con un altro affresco degno di un clown navigato. Il Belgio disputò una partita amichevole contro l’Olanda a Rotterdam. I tifosi di casa, assiepati sugli spalti a pochi metri dalla sua porta, non persero la favorevole occasione per apostrofarlo oltremodo. Le frasi ingiuriose sulla moralità di sua madre furono accompagnate da un massiccio lancio di frutta e verdura. Pfaff non pensò neppure per un istante di lamentarsi con l’arbitro. Si ricordò del «Loco» Gatti, mentore e padre spirituale di parecchi portieri in quegli anni. E richiamò alla mente Hugo il matto e la sua celebre scopa alla «Bombonera». Raccolse da terra una bella mela rossa. La pulì con i suoi guantoni enormi. Si appoggiò al palo della porta e iniziò a mangiarla di gusto. Compreso il torsolo. Si avvicinò quindi alla curva olandese chiedendone un’altra. Mentre da ogni settore dello stadio il pubblico applaudiva a scena aperta. La migliore immagine di Jean Marie. Un attore consumato con i capelli eternamente mesciati, i riccioli che catturano filamenti d’oro e un sorriso da simpatica canaglia. Un animale da telecamera che in quegli anni prestò il suo volto per pubblicizzare qualsiasi prodotto. Dalle carte di credito alle tavolette di cioccolato. E ancora oggi sugli scaffali dei supermercati fa capolino lo Champagne Pfaff. Con tanto di foto riccioluta e ammiccante sull’etichetta. Chiusa la trionfale esperienza nel Bayern tornò in patria per giocare nel modesto Lierse. Accettando a fine carriera di traslocare a Trebisonda. Dislocando spettacolo e animazione del suo circo sulla costa del suggestivo Mar Nero. A questo punto il commiato dalle grandi scene, il congedo dal pubblico affezionato, sembrerebbe un passaggio naturale. Quasi scontato. Ma questa non è la storia di uno sportivo qualsiasi, di un calciatore qualunque, bensì di Jean Marie Pfaff. L’uomo che riempie i taccuini dei cronisti e prenota foto e titoli sulle prime pagine dei giornali. Più famoso oggi, ultracinquantenne, di quando giocava a pallone. Il Pfaff portiere di valore mondiale, monumentale guardiano del Bayern di Hoeness e Rummenigge, istrionico numero uno della Nazionale belga, ha ceduto oggi il passo al Pfaff attore. Incontrastato protagonista di un reality show che in Belgio, Olanda e Germania tiene incollati davanti alla tv milioni di telespettatori. Con uno share di ascolti che schizza alle stelle. 

 

È stato sufficiente far piazzare decine di telecamere nella sua villa di Brasschat, e offrire al pubblico uno spaccato della sua vita; Un «Grande Fratello» artigianale la moglie Carmen, le figlie Debby, Kelly e Lindsey, con i rispettivi mariti e fidanzati, l’arzillo bisnonno Edilbert e il cane Angie. In casa Pfaff a volte si parla anche di calcio. Si segue in tv la Champions League e il clima si surriscalda quando scende in campo la Nazionale Belga. Spesso Pfaff prende parte a gare di beneficenza tra vecchie glorie. Per aiutare soprattutto i bambini malati di leucemia, ma anche per esibire quel paio di guanti extralarge da leggenda che faticano a rimanere chiusi in un cassetto. Nel 1999 fu colto da una crisi d’astinenza così forte che riuscì a placare solo dopo aver accettato di allenare il Kv Ostenda. Avventura che si concluse dopo poche settimane. Con un repentino esonero. Screziatura di una carriera semplicemente perfetta. E allora meglio le telecamere disseminate nella casa di Brasschat, fumando un havana in compagnia di nonno Edilbert. «Anche se un giorno vorrei allenare una squadra in Bundesliga», confessa. Con una clausola nel contratto a caratteri cubitali: portare lo storico orsetto di peluche in panchina. Jean Marie Pfaff e' un esempio di calcio di strada, di oratorio. Negli anni '70 e '80, i portieri erano personaggi sobri e seri incarnati dai suoi contemporanei come Dino Zoff, Peter Shilton e Rinat Dassayev. Al contrario, Pfaff era un clown fin troppo desideroso di compiacere e intrattenere i fan. 

Tuttavia, la sua personalità frizzante e il suo comportamento in campo contrastavano nettamente con la sua dedizione al duro lavoro e all'allenamento al di fuori di esso. Il pubblico in genere lo amava, ma alcuni segmenti della stampa così come i suoi colleghi professionisti lo guardavano con sospetto e diffidenza. Pfaff è nato il 4 dicembre 1953 a Lebbeke vicino ad Anversa. Viveva in povertà con una famiglia numerosa composta da dodici fratelli (sei maschi e sei femmine, era il decimo figlio). La famiglia viveva in una roulotte che viaggiava di città in città vendendo tappeti. Suo padre è morto in un incidente automobilistico quando aveva undici anni. A questo punto, credeva che avrebbe potuto trasformarsi in un delinquente se non fosse stato per il sostegno della sua numerosa famiglia.  In una professione nota per il suo realismo freddo e duro, il portiere belga Jean-Marie Pfaff era un'anomalia.  Fu lo sport che lo avrebbe tirato fuori da una vita di povertà. Entro' a far parte della formazione giovanile del vicino club SK Beveren il 21 giugno 1965 all'età di soli undici anni. Era (secondo lui) basso e sovrappeso. La direzione della squadra decise di lavorare sulla sua dieta e  lavoro' molto duramente nel formare il giovane che col tempo avrebbe perso peso e avrebbe avuto uno ulteriore scatto di crescita. Il suo talento visibile in così giovane età gli avrebbe permesso di salire di livello in breve tempo. Fu persino convocato dalla squadra belga UEFA Juniors mentre era ancora uno scolaro elementare. Avrebbe abbandonato la scuola all'età di 14 anni per dedicarsi completamente all'attivita' come futuro professionista. Da diciottenne ebbe la possibilità di debuttare con la prima squadra del Beveren il 9 aprile 1972 in una partita di campionato contro Crossing Schaerbeek (1:2). Gioco' una manciata di partite nella stagione, ma il Beveren sarebbe retrocesso alla fine del torneo. Negli anni successivi la sua fama in patria crebbe di pari passo con l'eta' e coi vari riconoscimenti personali fino a raggiungere le soglie della Nazionale ed insidiare il posto titolare ad un nume sacro come Crhistian Piot. 

La sua crescita sportiva a livello Internazionale esplose con i Mondiali dell'82 in Spagna. E fu li'...che le sirene Tedesche si fecero sentire...Nel 1982, per una cifra di 225.000 marchi Jean Marie Pfaff si trasferisce in Baviera. Era ansioso di un palcoscenico più grande e il Bayern sembrava l'ideale. Aveva dichiarato di aver già vinto il campionato e il 'Soulier d'Or' in Belgio ed era ora pronto per la fase più grande della Bundesliga. Dal ritiro del Grande Sepp Maier qualche anno prima (uno degli idoli di Pfaff oltre a Lev Yashin e Gordon Banks), non avevano trovato un sostituto adeguato in Walter Junghaus (ritenuto troppo inesperto) né in Manfred Muller (considerato vecchio). Pfaff apparve il portiere di qualità Internazionale confacente al blasone, che stavano cercando (oltre ad avere un senso dell'umorismo che ricordava Maier). In seguito avrebbe rivelato alcune delle difficoltà al suo arrivo, come non parlare la lingua e il fatto che Manfred Muller e Raimond Aumann (gli altri portieri) erano visibilmente contrari al suo arrivo. Ci furono anche alcuni attriti all'interno della squadra. Se non fosse stato per il sostegno di sua moglie Carmen non si sarebbe trasferito al Bayern. Lo incoraggio' molto ad unirsi ai Bavaresi, dal momento che non avrebbe raggiunto la gloria rimanendo a Beveren. Per raggiungere le sue ambizioni, dovette lasciare l'atmosfera amichevole e provinciale per il mondo freddo, professionale e spietato del Bayern. A quanto pare aveva anche chiesto alla societa' di nominare Sepp Maier allenatore dei portieri ma la sua richiesta fu respinta. Pfaff come sopracitato, ricevette un brusco risveglio nel suo battesimo in Bundesliga il 21 agosto 1982 contro il Werder Brema dopo aver lasciato entrare un comico autogol. Uwe Reinders del Brema harimesso con le mani un lungo fallo laterale dalla sinistra verso la porta, Pfaff riusci' a toccarlo solo con la punta delle dita e la palla fini' in rete. Inutile dire che i media  furono spietati quando sottolinearono la somma pagata per i suoi servizi dopo una rete così comica. Successivamente, i media cominciarono ad  analizzare ogni sua mossa e ogni sua decisione durante le partite. 

Un giocatore minore si sarebbe potuto sbriciolare sotto tale pressione, ma Pfaff si è scrollo' di dosso l'incidente dicendo che sarebbe potuto succedere a chiunque. Tale era la forza mentale di Pfaff che lentamente si riprese e conquisto' il pubblico Bavarese con esibizioni molto sicure. La svolta per lui fu in una partita contro l' HSV il 9 ottobre 1983. L'Amburgo era in vantaggio 2:0 a Monaco e sembrava destinato alla vittoria. Ad un certo punto durante la partita, Pfaff decise di motivare la folla correndo verso la curva Sud dell'Olympiastadion e con i movimenti del braccio diretti ai tifosi li incito' per tifare per la squadra. Il Bayern si riprese e  pareggio' la partita (2:2) all'89° minuto. Tuttavia, pochi istanti dopo, l'Amburgo godette di un calcio di rigore dopo che Udo Horsmann commise fallo di mano in area visto solo dall'arbitro Eschweiler. Il solito affidabile Manfred Kaltz fu incaricato della realizzazione. Pfaff  fu all'altezza della situazione paro' il calcio di rigore. Questo episodio conquisto' completamente la folla.  Molti si meravigliarono della facilità con cui si era adattato alla Bundesliga in così poco tempo. La sua popolarità rivaleggiava con quella della superstar del Bayern, Karl-Heinz Rummenigge. Dopo solo pochi mesi a Monaco, riceveva regolarmente dalle 400 alle 600 lettere di fan, al giorno. Da quel momento in poi, i fedeli del Bayern avrebbero cantato "Jean-Marie, Jean-Marie" durante le partite. Era anche sempre pronto a impegnarsi e ridere con i tifosi e firmare autografi. Rummenigge dissenti', dicendo che Pfaff si sarebbe stancato di firmare autografi solo dopo sei mesi, ma fino alla fine del suo mandato con il Bayern, Pfaff fu sempre lì, sempre a disposizione delle persone che gli chiedevano attenzione.

 Era anche molto desideroso di interagire con i media ed era sempre pronto per le interviste.  Notoriamente distribuiva il suo biglietto da visita ai giornalisti in un momento in cui la maggior parte dei giocatori evitava un accesso così facile ai media. Molti criticarono i suoi rapporti con i media come una spudorata autopromozione. Ci fu un'occasione in cui il compagno di squadra del Bayern, Wolfgang Grobe (che era anche vicino di casa di Pfaff) fu intervistato da una rivista di calcio. Come parte della storia volevano una sua fotografia nel cortile. Secondo quanto riferito, Grobe avrebbe scherzato sul fatto che avrebbero fatto meglio a sbrigarsi, perché Pfaff sarebbe tornato a casa in un paio di minuti e avrebbe anche insistito per essere anche Lui nella foto (Pfaff più tardi in un'intervista dichiaro' che Grobe gli aveva ritrattato questa affermazione). Un altro punto di attrito con alcuni dei suoi compagni di squadra, furono i suoi buoni rapporti con l'allenatore del Bayern Pal Csernai (a cui la maggior parte dei giocatori era contraria). Nonostante questi problemi, in generale tutto sembrava roseo a quel punto per Pfaff, fu colpito positivamente anche dalla disciplina tedesca e dall'etica del lavoro, in allenamento. Rimase impressionato dalla loro mentalità calcistica che includeva l'allenamento quotidiano di sessioni doppie, partite indoor in inverno e altri tornei. Osservo' che in Belgio  aveva tempo per lavorare anche al di fuori del calcio, ma non in Germania, dove bisognava dedicarsi completamente, per avere successo. Espresse anche il suo desiderio di estendere il suo contratto oltre la sua data di scadenza iniziale di giugno 1985. Affermo' anche che 

avrebbe voluto rimanere nella Germania Ovest oltre la sua carriera calcistica. Tale era la sua popolarità dopo questa prima stagione, che quando "Fussball Magazin" condusse la loro intervista mensile (dove i fan inviarono le loro domande per posta), batte' il record del numero di lettere ricevute che era stato stabilito da Pierre Littbarski. Quando alla fine dell'anno 1982, "Kicker Sportsmagazin" designò Harald Schumacher come "World Class" ma Pfaff fu designato lo status minore di "International Class", furono inviati insulti alla rivista per questa valutazione. Anche il portiere del Colonia Harald Schumacher sarebbe diventato un arcinemico in molti modi. Pfaff come la maggior parte del pubblico ebbe un brutto giudizio per il fallo feroce di Schumacher sul francese Patrick Battiston, durante la Coppa del Mondo 1982. E accrebbe ulteriore risentimento, quando durante la partita di campionato tra i rispettivi club Schumacher si rifiuto' di stringergli la mano. Da quel giorno

guardera' Schumacher con disprezzo per il resto della sua carriera in Bundesliga. A livello internazionale, anche Thys lo aveva perdonato per alcune esuberanze ed era tornato all'ovile nella nazionale Belga da titolare.  Alla fine della stagione 1983, il Napoli lo stava valutando per un possibile trasferimento, ma il Bayern fisso' il suo valore a tre volte la sua quota iniziale di firma, per scongiurare i corteggiatori. La stagione successiva (1983/84), Pfaff avrebbe avuto un nuovo allenatore al Bayern, poiché Udo Lattek fu nominato alla guida della squadra. Pfaff gli avrebbe attribuito il merito di aver riportato la disciplina in squadra. La popolarità di Pfaff tra i fan crebbe ancora più forte e si stima che entro la fine della stagione ricevesse fino a 3.000 lettere di fan a settimana. Il momento clou della prima parte della stagione sarebbe in Coppa UEFA, in una partita contro il PAOK di Salonicco. Pfaff fu il protagonista della serata e permise al Bayern di qualificarsi ai calci di rigore. Parando il nono rigore del PAOK e segnando il rigore decisivo che valse la qualificazione. (vedi post 456 ) Tuttavia, emersero vari roumors secondo cui Pfaff si sentiva boicottato da giocatori di peso nello spogliatoio del Bayern, tra cui Klaus Aughentaler e Wolfgang Dremmler. In un articolo fu accusato di aver criticato i suoi compagni di squadra descrivendoli come arroganti e strapagati. In un altra occasione, Pfaff organizzo' il suo trentesimo compleanno in un ristorante di Monaco di Baviera con i suoi compagni di squadra. Tuttavia, i giocatori rimasero sgomenti quando si resero conto che aveva invitato anche i giornalisti, alimentando ulteriormente la sua reputazione di autopromotore. Mentre la nuova stagione (1984/85) stava per cominciare, fu afflitto da altri problemi. Salto' l'inizio della stagione dopo un'operazione di ernia. Fu anche coinvolto in un incidente stradale che coinvolse due suore (tragicamente una di loro rimase uccisa). A questo punto Pfaff arrivo' al suo punto più basso, non solo fisicamente ma anche emotivamente. Il trauma dell'incidente gravava pesantemente su di lui. Ancora una volta avrebbe riconosciuto il ruolo di sua moglie Carmen che l'ha aiutato in questo periodo difficile. Raimond Aumann e Jacques Munaron furono i sostituti a livello di Club e Internazionale. Dovette fare anche i conti con le voci di una prossima firma per il Bayern di Harald Schumacher.

Al che Pfaff rispose che il Bayern oltre a spendere più soldi avrebbe avuto polemiche ogni settimana. Il deluso Pfaff in un primo momento chiese il trasferimento, ma il direttore generale del Bayern, Uli Hoeness rifiuto' la sua richiesta. Pfaff si alleno' duramente e torno' in squadra a novembre. Fu a portata di mano quando il Bayern Monaco vinse lo scudetto e raggiunse la finale di DFB Pokal. In tutto gioco' quattordici partite di campionato in quella stagione. La stagione successiva (1985/86) parte bene e partecipa alla qualificazione del Belgio ai Mondiali a spese della vicina Olanda. Si infortuno' a novembre ed ebbe una lunga pausa. Quindi torno' in azione solo a marzo.  La sua posizione per la Coppa del Mondo era in dubbio, poiché Munaron lo insidiava per il posto. Alla fine Pfaff riconquisto' il suo ruolo titolare (giocando 24 partite in campionato) e con ottime prestazioni contribui' a conquistare il secondo titolo consecutivo in Bundesliga e nella Coppa Nazionale. Il Mondiale in Messico dell'86 sara' memorabile per Pfaff e il Belgio. Fu fino ad allora la migliore esibizione del Belgio in una Coppa del Mondo in gran parte grazie a Pfaff. Le sue esibizioni in Messico gli sono valse il soprannome di "El Simpatico". Nello stesso anno (1986) la sua figura di cera fu presentata al Museo "L'Historium" di Bruxelles. La nuova stagione (1986/87) inizio' male per quanto riguarda la Nazionale ma avrebbe avuto una stagione migliore nel tran tran quotidiano della Bundesliga. Conquisto' il terzo titolo consecutivo con il Bayern alla fine di quella stagione (1986/87). In Coppa dei Campioni, esibi' la sua migliore annata con il Bayern Monaco, che alla fine si concluse con una delusione, quando i bavaresi molto favoriti, furono sconfitti dal Porto (1:2) in finale. 

Tuttavia, nella semifinale, la sua prestazione contro il Real Madrid al Bernabeu il 2 aprile 1987, fu materiale da leggenda poiché tenne a bada piu' volte, l'assalto dilagante del Real Madrid e limito' il passivo a un solo gol, dopo la vittoria per 4-1 a Monaco. Va ricordato che a quei tempi, anche le leggendarie ''remuntade'' nelle partite Europee al Bernabeu, facevano parte del folklore del calcio. Si distinse per i suoi interventi eroici quel giorno, nonostante fosse bombardato dai proiettili dei fan del Real. Fu lodato addirittura dall'arbitro francese Michel Vautrot, per aver mantenuto il controllo e la conbcentrazione durante la partita. Parte dell'ostilità dei tifosi del Real era dovuta al fatto che il giorno prima della partita Pfaff aveva annunciato che avrebbero spezzato la maledizione del Bernabeu. Verso la fine di quella stagione, il suo rivale Harald Schumacher a Colonia, pubblicò la sua controversa autobiografia in cui accusava molti dei suoi compagni di squadra di consumo di droga, ecc.ecc. Pfaff definì il libro uno scandalo assoluto e zeppo di contenuti falsi. Osservo' che dopo l'"incidente di Battiston" nel 1982, Schumacher era stato molto fortunato che i suoi compagni di squadra lo avessero difeso. Invece aveva scritto un libro in cui li denunciava come drogati. Alla fine di quella stagione, firmo' di nuovo per altre due stagioni e preannuncio' che la sua carriera era tutt'altro che finita e che avrebbe voluto continuare fino a quando non avesse superato i 40 anni. Per le sue eccellenti prestazioni quell'anno, la Federazione Internazionale di storia del calcio e Statistics (IFFHS) elesse Pfaff come miglior portiere del mondo dell'anno 1987.

 

Pfaff inizio' la sua sesta e ultima stagione con il Bayern Monaco per la stagione (1987/88). Sarebbe stata una stagione difficile per Pfaff sia in club che in Nazionale. Con i Diavoli Rossi avrebbe giocato la sua ultima partita in questa stagione. Anche la stagione col club fu deludente poiché il Werder Brema ruppe la dittatura dopo tre stagioni del Bayern sulla Bundesliga. Questa è stata la prima stagione sotto la direzione Jupp Heynckes dopo la partenza di Udo Latteck. Era gia' previsto che questa sarebbe stata la sua ultima stagione per cui era aperto a ricevere altre offerte. Il Manchester United si era avvicinato al Bayern, ma la quota era troppo alta. Ciò fu fatto a sua insaputa e con conseguente sgomento di Pfaff. Credeva che tutti i contatti avviati, dovessero passare attraverso sua moglie Carmen. Esorto' gli altri club a non commettere lo stesso errore del Manchester United e a contattarlo in prima persona. Durante la stagione Pfaff ancora una volta alimento' polemiche chiedendo al suo club di posticipare i suoi allenamenti la domenica, in modo che da devoto cattolico, potesse partecipare alla messa. Anche la morte di sua sorella, nella primavera del 1988 contribui' ad aggravare ulteriormente una stagione negativa. Il Bayern Management, decise quindi di dare a Raimond Aumann la sua tanto attesa possibilità come numero uno, dalla stagione successiva. Volevano iniziare un nuovo ciclo con nuovi giocatori più giovani e Pfaff stava per andarsene. Oramai nella fase di declino della sua carriera decise di tornare a casa e si lego' alla modesta squadra dell'SK Lierse per la stagione (1988/89) per concludere la sua carriera. La squadra fini' a metà classifica e alla fine della stagione Pfaff fece le valigie ancora una volta per lasciare il paese. 

Segui' l'esempio della sua nemesi Harald Schumacher e si esibi' nella Lega Turca firmando per il Trabzonspor per la stagione (1989/90). Il fatto che il suo ex mentore Urbain Braems fosse l'allenatore del posto, ha sicuramente aiutato la sua decisione. Cerco' di infondere alcuni modelli che aveva imparato in Germania Ovest per aiutare la squadra a essere più professionale e moderna. Questa sarebbe stata la sua ultima stagione da professionista. Riusci' a raggiungere la finale di Coppa di Turchia con il suo club, ma perse in finale contro il Besiktas (0:2). Pfaff si ritirò alla fine di quella stagione dopo quasi due decenni da professionista. Organizzo' il suo ''Farewell Match'' a Beerschot nel 1991. Fu un misto della squadra Belga degli anni '80 contro una selezione World XI che includeva artisti del calibro di Franz Beckenbauer, Alain Giresse, Ruud Krol, Michel Platini, Soren Lerby e Roger Milla tra gli altri. Dopo la sua carriera lavoro' come allenatore dei portieri al KFC Herentals e al VfB Stuttgart. Il suo unico incarico di capo allenatore fu una stagione solitaria al KV Ostende durante la stagione (1998/99) che si concluse con una delusione. Jean-Marie Pfaff fu sempre amato dal pubblico ma non sempre dalla critica, dai giocatori e dalle dirigenze. Ricordava sempre la sua infanzia difficile e conosceva il valore del duro lavoro dopo aver lavorato in una fabbrica di latte, alle Poste e persino in una Banca. Sentiva che si dovrebbe rimanere una persona amichevole anche dopo aver raggiunto il successo. Chi lo conosceva sapeva che avrebbe aiutato chiunque avesse bisogno. Il suo periodo al Bayern lo aveva reso ancora più "professionista" secondo lui. Aveva cambiato il suo atteggiamento fuori dal campo non solo in materia di formazione ma anche in Contratti, Sponsorizzazioni, ecc. 

Naturalmente era questo aspetto ad essere visto in gran parte con scetticismo dai media che lo vedevano solo come un segugio pubblicitario. Pfaff credeva di essere stato ampiamente frainteso, specialmente dalla stampa Fiamminga. Ciò fu palese quando fu eletto portiere mondiale dell'anno dell'IFFHS nel 1987 e ricevette solo due voti dai colleghi Belgi. Si era vantato che "c'era Eddy Merckx nel ciclismo, ora c'è Pfaff nel Football". Mentre i critici lo trovavano arrogante, sentiva che il suo carisma era stato vitale nel dare visibilita' ai portieri Belgi nel contesto Internazionale. Infatti altri, come Michel Preud'homme, avevano beneficiato del suo duro lavoro. Era un allenatore feroce e la sua etica del lavoro non poteva mai essere messa in discussione. Era un perfezionista la cui ambizione lo ha guidato ad altezze che non avrebbe mai potuto immaginare. L'immagine indelebile che definisce Pfaff sta tutta in una partita del Bayern che si gioco' sotto la pioggia battente. A un certo punto ando' in tribuna, prese un ombrello da uno dei tifosi e si è sedette su una sedia dietro la porta. Pfaff credeva che il Pubblico venisse prima di tutto. Era consapevole che pagasse un sacco di soldi e che il suo ruolo, in fin dei conti fosse quello di intrattenitore, anche come clown, pur rimanendo Professionista. 


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